Ci sono storie di persone che hanno capito cosa vogliono fare, che sono sulla strada per raggiungere il proprio obiettivo o che lo hanno finalmente in pugno.
E poi ci sono le persone che il salto non lo hanno fatto, ma che hanno scelto – con libertà e autonomia – di non andarsene dal proprio lavoro .
E così hanno cominciato a costruire internamente all’azienda una soluzione al proprio disagio.
“ La vita non è una domanda che aspetta una risposta, ma un’esperienza che aspetta di essere vissuta”.
Come ci ricorda Kirkegaard in questa frase, non è tanto importante cercare il perché degli eventi, ma cosa ne facciamo di essi, ovvero in che misura la percezione che ne abbiamo ci porta a muoverci nel mondo in un modo piuttosto che in un altro.
Non tutte le storie hanno un lieto fine e non tutte le persone realizzano il proprio sogno. A volte il sogno non si vede nemmeno perché è nascosto dalla paura, dall’abitudine, dalle convinzioni sociali, dalla responsabilità della scelta di perseguirlo (“se fallisco ora, sarà solo colpa mia…” e a volte serve qualcuno che ci dica ‘sì, ma hai pensato che se avrai successo in questa impresa sarà solo merito tuo?’)
Concedersi la possibilità di visualizzare il sogno, darsi dei tempi, priorità, scadenze e un serio e dettagliato piano di lavoro.
Altrimenti il sogno non smette di essere sogno e non diventa mai progetto.
Diciamocelo chiaramente, cambiare è scomodo, bisogna mettere in discussione molti schemi consolidati, di vita e di lavoro. Ed è allora proprio nei momenti di crisi che emerge il valore della gente e nascono idee, progetti condivisi e di valore.
Può essere che, alla fine, questa cosa non funzionerà e allora bisognerà prevedere un piano B: ammettere la possibilità di fallire.
Edward De Bono dice :
«Nulla è più meraviglioso che avere un’idea nuova. Nulla è più splendido che vedere una nuova idea funzionare. Nulla è più utile di un’idea nuova che serva al nostro scopo».