Potete crescere solo se siete disposti a sentirvi a disagio per un po’ di tempo. È così e basta.
Non vi sto dicendo che tutto ciò che volete si trova fuori dalle vostre quattro pareti emotive, ma tutto quello che desiderate o anelate sì. Al di là di ciò che conosciamo già, si trova una zona di apprendimento. Questo è il terreno in cui uscire per ampliare la nostra visione del mondo e acquisire conoscenze. Ci troviamo lì quando studiamo, osserviamo, sperimentiamo, confrontiamo, viaggiamo e conosciamo nuove persone.
A molte persone piace imparare ed escono di frequente per godere della vista di nuovi orizzonti, ma ci sono anche persone a cui ciò spaventa e che non percorrono questi cammini a meno che non siano obbligati a farlo.
Ecco…direi che è giunto quel tempo.
Sì, perché adesso siamo obbligati, siamo obbligati dalla nostra coscienza: peccato che questa non si manifesti in egual misura a tutti!
Ed ecco che la “panic zone” si presenta imperterrita:
questa zona esiste solo per chi vive in maniera comoda e per chi non si arrischia a mettere in discussione la propria vita
corrisponde a quella condizione in cui le persone si sentono costrette a fare i conti con situazioni inconsuete ed inusuali, con cambiamenti il più delle volte percepiti come non voluti e indesiderati, con la distruzione delle routines consolidate.
Questa zona è connotata da ansia, paura, tensione, irritazione, rabbia, inadeguatezza, frustrazione. In questi giorni di ansia, paura, rabbia e via dicendo è stato inondato il web! Le persone hanno difficoltà a capire “le novità”, sono costrette a imparare nuove procedure, nuovi metodi, ecc… ma non tutti sono disposti a imparare e a capire. Si registrano quindi forti opposizioni e resistenze al cambiamento.
Scrive Mariangela Gualtieri, 9 marzo 2020:
“Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare”
Ecco allora che dobbiamo attivare la nostra “Dis-comfort zone”
In questa zona, che certamente già si colloca al di fuori della sicurezza della comfort zone, le persone mantengono tuttavia un collegamento pratico e psicologico con le proprie abitudini, prassi, approcci, metodi, idee e valori.
“La verità è che ti fa paura, l’idea di scomparire, l’idea che tutto quello a cui ti aggrappi prima o poi dovrà finire ”